In occasione dell’incontro del Comitato Esecutivo Regionale con le rappresentanze sindacali regionali dei lavoratori di FLAI-CGIL, FAI- CISL e UILA-UIL, L’Unione Regionale ha presentato un primo report sullo stato della panificazione artigianale nel Friuli- Venezia Giulia che pubblichiamo di seguito.
La Panificazione nel Friuli – Venezia Giulia:
un’analisi generale del settore
La panificazione nella nostra regione conta circa 500 imprese con un numero medio di quattro addetti – titolari esclusi – per azienda. A tale numero bisogna aggiungere un indotto sia a monte (produttori e fornitori di materia prima) sia a valle (aziende di commercializzazione del pane) chesi può valutare dia lavoro ad altri 1500 addetti, per un totale complessivo di circa 4.500 occupati.
La struttura produttiva è prevalentemente di tipo artigianale, intendendo per tale non solo e non tanto il numero di dipendenti per azienda quanto l’organizzazione produttiva del lavoro che rispecchia fedelmente, nella quasi totalità dei casi, le caratteristiche proprie dell’impresa artigianale: dimensioni ridotte, produzione e gestione diretta da parte del titolare (e, spesso, della famiglia dello stesso) che compartecipa effettivamente al lavoro in tutte le sue fasi, flessibilità produttiva, forte componente umana nel lavoro, rapporti diretti tra titolari e dipendenti che costituiscono un elemento primario nella capacità di formazione professionale di questi ultimi. Infine un forte legame con il territorio in virtù del quale le imprese di panificazione operano sia “in ingresso” che “in uscita” intendendo con tali termini individuare una specifica filiera sociale, produttiva ed economica che da un lato vede l’utilizzazione massima delle risorse del territorio sia in termini di materie prime che di disponibilità di mano d’opera sia in termini di sbocco commerciale e produttivo che vede l’area di interesse aziendale quasi sempre ristretta al comune o, al massimo, alla provincia di appartenenza.
Tale peculiarità e tipologia è risultata evidente anche nelle situazioni di crisi sociale della Regione, che hanno visto il loro culmine in occasione del terremoto del Friuli evidenziando come la territorialità produttiva e distributiva della panificazione artigianale consentisse un intervento immediato e fruttuoso a favore di quella parte delle popolazioni che ne erano rimaste colpite. Mai come in quell’occasione si è dimostrato quanto importante sia la presenza di una realtà di microimprese legate e connesse al territorio ed alle sue esigenze.
Non vi è dubbio che i cambiamenti normativi e di mercato degli ultimi anni abbiano inciso in modo pesante su tale realtà che sembrava storicamente radicata e difficilmente modificabile: la grande distribuzione in primo luogo, le norme in materia di liberalizzazione sulla produzione e anche quelle relative all’ampliamento degli orari di vendita e, ultimo in ordine di tempo ma non certamente in ordine d’importanza, l’ingresso dei paesi PECO nell’area dell’Unione Europea hanno modificato in modo drastico il quadro generale della panificazione regionale che oggi si trova a dover affrontare cambiamenti decisivi anche strutturali di notevole impatto sia organizzativo che produttivo, occupazionale ed economico. Si tratta peraltro di una situazione con la quale la panificazione dovrà fare i conti in futuro in modo permanente e strutturale proprio perché non di crisi si tratta (o non soltanto di crisi legata ai consumi ed all’andamento delle economie locali, nazionali e mondiali) ma di profonda trasformazione del tessuto sociale e dei cambiamenti dei modelli di consumo condizionati, in questa fase contingente, dalla minor disponibilità economica dei consumatori ma, in modo più strutturale e profondo, da modelli di vita profondamente diversi da quelli validi fino alla fine del secolo appena concluso.
Il passaggio da famiglie numerose e spesso conviventi con gli anziani a nuclei spesso addirittura monofamiliari, la presenza sempre più significativa importante, di etnie diverse, le modificazioni degli orari di lavoro con il forte aumento dei pasti fuori casa, l’irruzione sulel tavole di prodotti a lunga conservazione (si pensi al latte oramai per oltrte il 65% venduto quale UHT e solo in misura inferiore quale prodotto fresco) , la diffusione dilagante dei piatti pronti spesso congelati o conservati in atmosfera modificata, danno una chiara chiave di lettura per quanto riguarda non tanto il consumo del pane quanto le sue modalità: non più sulle tavole di mezzogiorno in tutte le case, non più prodotto principe della tavola, ma pur sempre presente sotto forme diverse legate alla ristorazione rapida eppur semplice di chi del pasto fuori casa, per necessità, ne ha fatto una regola. E, dunque, panini, pizze, focacce e altri piatti unici che, comunque, alla loro base, trovano ancora il pane seppur prodotto e proposto in forme e modi diversi.
Questo mercato è però gran parte appannaggio dell’industria del prodotto confezionato e conservato (sottovuoto, congelato, ecc.) e non certo del fornaio artigiano che si vede così sottratta una parte importante del proprio lavoro.
Tutto questo ha portato, dalle oltre 650 imprese di panificazione presenti in regione nel 2000, all’attuale valore, citato in premessa, di circa 500 aziende. Un valore che, peraltro, non si può considerare come stabile de assestato ma che nel futuro anche prosssimo potrebbe risultare ulteriormente diminuito.
Consumi e occupazione
Dal Luglio del 2009, termini generali e non esclusivamente settoriali, abbiamo una situazione abbastanza stabile sul fronte dei consumi. Sembra infatti essersi arrestato il trend negativo, iniziato nella primavera del 2008. Ciò che invece preoccupa di più è che non si è arrestato il calo dell’occupazione essendo il dato occupazionale estremamente importante non solo a livello sociale ma anche per la funzione di traino che esso svolge relativamente all’andamento dei consumi.
E’ in questo contesto occupazionale che si sono mossi gli Enti Provinciali, infatti emanando degli incentivi economici per la stabilizzazione di contratti di lavoro o le assunzioni di persone in mobilità.
Analizzando la composizione dei consumi nello specifico, ci accorgiamo che dal ’92 ad oggi è diminuito di circa il 4% il potenziale di spesa pro-capite per l’alimentazione domestica ( passando da un 22,1% nel ’92 ad un 18,1% nel 2011 ) e, contestualmente è stato registrato un incremento di spesa per l’alimentazione fuori casa del 1,9% ( nel ’92 era del 7,5% mentre nel 2011 è del 9,4%).
Purtroppo dobbiamo constatare che la perdita di consumi per l’alimentazione domestica non è stata completamente assorbita dall’aumento registrato per i consumi fuori casa.
Quanto alle previsioni relative ai consumi per il 2011, esse non iniziano sotto i migliori auspici: l’impennata dei prezzi delle commodities, con il grano che ha già superato i livelli di costo dei momenti più critici degli scorsi anni questa volta accompagnato però nella corsa al rialzo dallo zucchero, dal cacao e dal mais, fanno prevedere impennate di costi notevoli e non contenibili dalle economie aziendali già duramente provate dalla crisi economica generale.
Le aziende di panificazione
Come già descritto in premessa, nell’ultimo decennio si riscontra un calo del numero di aziende di panificazione variabile da provincia a provincia compreso tra il 15 e il 30 %.
Un elemento importante per spiegare tale variabilità riguarda la vicinanza dfi province come Trieste e Gorizia alla Slovenia rispetto a quella di Udine (peraltro anche’essa confinante ma solo per parte del proprio territorio) e quella di Pordenone probabilmente influenzata più da ciò che avviene nel vicino Veneto.
Oltre a quanto detto , tra le possibili cause vale la pena di ricordare il cambio generazionale, la mancanza di un adeguato supporto scolastico-formativo, effetti protezionistici-negativi della legge 1002 che regolamentava la panificazione, sviluppo sul territorio della grande distribuzione, modifiche dei consumi.
Il cambio generazionale e gli effetti protezionistici della legge 1002, per certi versi, hanno impedito al settore della panificazione di sviluppare quel senso di imprenditorialità che ha caratterizzato molte altre categorie del comparto economico.
E’ del tutto ovvio che una delle cause – e non certo l’ultima in ordine d’importanza – è la congiuntura economica, attuale: ma, come già messo in evidenza, sembra corretto considerare tale fenomeno a parte e non quale causa contingente della crisi del settore poiché si ritiene che essa abbia in effetti caratteristiche poco “congiunturali” e come tali destinate a essere più o meno rapidamente superate mentre sia piuttosto un elemento da considerare, nel medio lungo periodo, come strutturale con il quale confrontarsi e nei confronti del quale orientare necessarie azioni di intervento.
Un’analisi compiuta della situazione del settore non può peraltro prescindere da una puntuale elencazione dei punti deboli caratteristici dello stesso indipendentemente dalle cause esterne già analizzate e che, in estrema sintesi, si possono così sintetizzare:
- riduzione progressiva della marginalità dei prodotti.
- difficoltà nell’individuazione di nuovi “format” di produzione e vendita.
- difficoltà nell’accesso a risorse finanziarie.
- scarsa valorizzazione delle tipicità proprie dell’artigianato e dei suoi prodotti .
- difficoltà nell’accesso a strumenti di formazione continua.
- difficoltà nell’applicazione di flessibilità aziendali operative.
- insufficiente controllo di gestione nell’azienda.
- scarsa valorizzazione del “sistema filiera sociale e produttivo”
- inadeguato rapporto con le istituzioni scolastiche formative.
- burocrazia crescente.
Diviene dunque fondamentale partire dai punti di forza del settore che sono sicuramente qualificanti e, ad oggi, probabilmente poco valorizzati:
- radicata presenza sul territorio
- elasticità dei cicli lavorativi
- passione del proprio lavoro
- capacità di trasmettere le caratteristiche di artigianalità del prodotto e della produzione
- capacità di valorizzare adeguatamente le capacità professionali dei collaboratori attraverso un dialogo costante e permanente ed assegnando responsabilità precise ma anche autonomia decisionale nell’ambito delle mansioni assegnate.
Il Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro appare uno strumento complessivamente adatto a rispondere adeguatamente alle esigenze individuate per la parte che ad esso compete. Purtuttavia vi sono punti ancora irrisolti quali, ad esempio,la possibilità di spalmare la 14° lungo tutto l’anno così come la necessità sentita di rivedere le maggiorazioni relative a giornate festive nelle quali la differenza di trattamento contrattuale con la Grande distribuzione è estremamente rilevante.
Un discorso a parte merita certamente il grande capitolo della sicurezza sui luoghi di lavoro: molti e troppi gli adempimenti formali, difficoltà nell’orientamento delle azioni da intraprendere, costi elevati e spesso immotivati delle consulenze costituiscono un substrato che non facilita una reale sicurezza del lavoro ma genera costi e disorientamento da parte delle aziende, troppo spesso alla mercè di consulenti poco scrupolosi ma notevolmente dispendiosi. In tale ambito merita un discorso a parte il tema dello Stress-correlato, norma di difficile applicazione in regime di autodichiarazione che sarebbe opportuno valutare congiuntamente con le rappresentanze dei lavoratori.
Infine, anche in funzione delle circolari dell’Agenzia delle Entrate relative alla detassazione di lavoro notturno e straordinario, al fine di venire incontro ad una esigenza particolarmente sentita dai collaboratori, diviene importante affrontare il tema della produttività in ambito aziendale, intendendo con tale termine non soltanto risultati quantitativi ma anche valutazioni oggettive della qualità del lavoro prestato.
La normativa regionale
Si ritiene che, in linea di principio, la normativa regionale vigente in materia di panificazione artigianale contenga in sé strumenti certamente utili per sostenere il settore. Purtroppo tali elementi non sempre trovano applicazione concreta e, particolarmente per ciò che attiene alla formazione professionale, non sono commisurati alle dimensioni ed alle realtà aziendali locali.
Il DDL 133 attualmente in discussione in Regione, legge di riforma delle norme in materia di artigianato, ha recepito moltie delle indicazioni espresse dalle organizzazioni dei panificatori e ricalcato parte importante dei regolamenti da oltre 4 anni fermi al ministero delle attività produttive: le norme che prevedono le botteghe-scuola e l’istituzione del Maestro Artigiano, quelle relative alla denominazione del “pane fresco” e di “Panificio” riservate alle imprese che effettivamente producono il pane e non si limitano a commercializzare quello surgelato precotto prodotto da altri sono sicuramente importanti, così come lo sono quelle relative al lavoro festivo e domenicale che costituisce terreno di scontro e concorrenza, spesso sleale, con la grande distribuzione, essendo impossibile per un’azienda a carattere familiare con pochi dipendenti lavorare sette giorni su sette e contemporaneamente rispettare le giuste norme in materia di orario di lavoro che prevedono l’obbligo di riposo settimanale.
L’introduzione della figura obbligatoria del “responsabile di Produzione “ costituisce un netto avanzamento nella valorizzazione dei panifici artigiani e di chi in essi opera, essendo aperta non solo ai titolari ma anche ai collaboratori in possesso di requisiti professionali specifici.
La nuova disciplina, infatti, correttamente prevede l’introduzione della figura del responsabile di panificazione con la previsione di specifici corsi di formazione professionale per apprendisti panificatori e di corsi di aggiornamento professionale per elevare il livello professionale o riqualificare gli operatori del settore; ma ancora una volta sarà poi necessario valutare quale sia l’applicabilità effettiva di una norma che, nella propria ratio, è sicuramente positiva.
In tema di formazione non si può sottovalutare l’importanza della possibilità di attuare anche la cosiddetta “formazione interna” relativa agli apprendisti che proprio dalla norma che istituisce le scuole bottega potrebbe prendere impulso, pur nel rispetto dei requisiti di legge e di quanto stabilito dal Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro: chè non vi è dubbio che i corsi di formazione obbligatori per l’apprendistato risultano ad oggi quasi sempre insoddisfacenti sia per i ragazzi che per i datori di lavoro che si limitano semplicemente ad ottemperare ad un obbligo normativo spesso lontano dalle reali esigenze formative del settore. In questo ambito, così ccome in molti dei temi sopra delineati, è sicuramente auspicabile una sintonia ed una collaborazione reale con le organizzazioni dei lavoratori.
Infine, in tema di norme regionali, non si può tacere del provvedimento assunto nella Finanziaria 2011 con il quale la Regione ha deciso un intervento a favore delle imprese di panificazione artigiane della regione per il “sostegno e conservazione dei valori tradizionali della panificazione artigiana quale elemento caratterizzante di un territorio e della comunità su di esso localizzata” consistente in un credito d’imposta fino al 20% relativo ai consumi energetici (elettricità e gas). Pur in attesa dell’emanazione dei necessari regolamenti attuativi, si ritiene che questa possa costituire un modo importante per venire incontro alle esigenze del settore particolarmente gravato dalla concorrenza slovena che proprio nelle differenze di carattere fiscale e contributivo esplica i maggiori effetti negativi: una strada che dovrebbe poter trovare continuità anche in una puntuale verifica dei costi del lavoro in panificazione sloveni che ad oggi costituiscono l’elemento base più importante nel determinare le difficoltà di competere ad armi pari su di un mercato senza frontiere ma che, ad oggi, ancora non ha saputo darsi regole comuni e condivise.